martedì 19 giugno 2012

Vita da Blatta: la premiazione!

2000 battute per un mini-racconto che abbia come protagonista il mondo insettoide: questa era la missione del primo concorso letterario indetto dalla nostra libreria ... e questo ne è stato il risultato.


Sette racconti si sono dati battaglia, ma alla fine la giuria formata da Maximiliano Sanvitale [scrittore e rappresentante della libreria K], Marco Taddei [scrittore e ideatore della free-press StraOccupati] e Davide Gentile [scrittore cinico di fumetti stranianti] hanno decretato i seguenti vincitori:

1. Zanza di Marco Angelucci
2. Nonno Ragno di Daniele Fabbri
3. Formicidae di Fabio Petrella

Durante la presentazione tenutasi Venerdì scorso sono stati letti tutti i racconti in gara, allietando le orecchie degli astanti. Le foto? Eccole:












Con i consueti sprazzi di follia che tanto ci piacciono.

Ora, per chi se li fosse persi, vi diamo la possibilità di leggere tutti i racconti che hanno partecipato iniziando doverosamente dai primi tre classificati:

Zanza
di Marco Angelucci
Blaterare non è roba per la mia razza.
Avendo poco tempo regna l'efficienza: nascere crescere volare riprodursi morire, il tutto in due settimane, se va bene.
Per me è stato diverso. È vero che quando sei lì, che larvizzi per quel paio di giorni di isolamento forzato, seppure circondato da centinaia di parenti nel tuo stato, il primo pensiero è come ottimizzare il tuo tempo. E così ti concentri su tutte quelle azioni, quella danza di movimenti e gesti, che occuperà la tua corta vita.
Quando esci fai parte di una famiglia immensa, ma nessuno ti conosce. Loro, mentalmente fermi allo stato larvale, continuano a pensare a quel ciclo. Nascono morti.
Uscito, ho provato a seguirli, ad ascoltare il loro ronzio generale, ad appartenere allo sciame. Pensavo: fondamentalmente devi trovare una femmina e fare l'unica cosa per cui sei nato.
Ed in effetti quei primi due giorni della mia vita sono stati meravigliosi. Danzare insieme, al tramonto, così numerosi e coordinati, per attirarle. Mi chiedevo: sarà così stupefacente l'apice della mia esistenza?
Poi, la seconda sera, succede: lei ti vola vicino, guardando altrove, seguendo solo il tuo odore. Tu in quell'attimo non senti altro che il rumore delle sue ali, tutto il resto svanisce, non hai il tempo di pensare, di sfiorarla: è già andata. Centinaia di momenti, concentrati in un tramonto, fotocopiati.
Ho visto come ci nutriamo e mi ripugna. Siamo parassiti, di fatto, come lo siamo  mentalmente, l'uno dell'altro, all'interno della mia razza. Non ho incontrato nessuno che si sia fermato anche solo un attimo per cercare di comunicare con me. Nessuno tra migliaia.
Osservando gli altri, però, ho imparato e fingerò: girando in largo e poi sempre più vicino, mi poggerò sui suoi capelli e non riconoscerà il contatto. Scenderò sul collo e scapperò, per non farmi prendere. A quel punto avrò la sua attenzione e sarò felice. Una volta provata quella sensazione, atterrerò sul suo braccio, sentirò il suo odore e finirà così. Nemmeno proverò a pungere.
Nonno Ragno
di Daniele Fabbri
Forza piccoli, fate i bravi ragnetti!" -"Dai nonno, raccontaci una storia!" -"Vi siete lavate tutte e otto le manine?" -"Siiii!" -"Bene, allora sistematevi nel vostro angolo di ragnatela! Dunque, vi ho mai raccontato di quando prestavo servizio nell'esercito dei Chelicerati ? A quei tempi operavo presso il dipartimento di ricerca del ministero degli Aracnidi. Facevo parte del gruppo speciale STNL-AEE, una squadra di giovani artropodi addestrati al pericolo con il compito di sorvegliare alcuni progetti segreti. In quel periodo i nostri scienziati stavano lavorando ad un progetto per la creazione del Super-Ragno, una specie di aracnoide con poteri speciali che sarebbe stato utilizzato nella grande guerra contro le cavallette russe." -"Ooohhh!" -" Un giorno durante uno degli esperimenti qualcosa andò storto: sentimmo un'esplosione nel reparto nucleare,ci precipitammo verso l'entrata, ancora una seconda esplosione e qualcosa mi colpì in pieno, sbalzandomi fuori dalle condotte e gettandomi al piano di sotto, dove c'erano degli esseri umani. Mentre precipitavo nel vuoto sentivo il mio corpo bruciare fin nelle viscere, caddi sulla mano di un giovane umano e istintivamente lo morsi con tutta la forza che avevo. Fui sbalzato via, e dopo non ricordo nulla. Due giorni dopo mi svegliai in ospedale, i miei superiori mi dissero che ero stato colpito da un fascio radiattivo, che dovevo tornare a casa e non dovevo raccontare a nessuno questa storia." -"E perché ce l'hai raccontato?" "Perché mi fido di voi!" -"Nonno, ma l'umano è morto?" -"Non saprei. Non sappiamo cosa succede se un umano viene morso da un ragno radioattivo, ma l'importante è che voi non lo raccontiate a nessuno bambini, perchè è un segreto, e da un grande segreto derivano grandi responsabilità."

Formicidae
di Fabio Petrella 
Tom salì in macchina che gli uomini della nettezza urbana erano da poco passati a raccogliere i rifiuti. Il quartiere era deserto e polveroso e da lontano le montagne violacee si stringevano sui tetti obliqui come un’ombra minacciosa. Mentre avviava il motore asmatico della sua vettura, Tom notò che una formica zampettava sorniona sul cruscotto. L’insetto aveva il corpo diviso in capo, torace e addome e uno spaventoso apparato boccale masticatore con robuste mandibole e antenne genicolate. La formica andava per i fatti suoi ma l’uomo, senza un benché valido motivo, la schiacciò delicatamente fra il pollice e l’indice. Poi partì. La fabbrica dove Tom lavorava era color fuliggine e trasmetteva scoramento alla sola vista. Le ciminiere oblunghe, come feroci dragoni, sputavano al cielo un fumo denso e acre. Sul punto di varcare la soglia dell’edificio Tom fu colpito da un movimento alla base dei cespugli infestanti che aggredivano l’ingresso della struttura. Allora arrestò il passo e cambiò direzione. Tra l’erbaccia scoprì una lunghissima colonna di formiche che serpeggiava tra le foglie. Gli insetti marciavano disposti in file e in righe compatte. Pareva un esercito pronto ad assediare il castello del rivale. La formicolante carovana terminava la sua corsa in una gobba che spuntava dal terreno come un vulcano in miniatura. I piccoli insetti accumulavano scorte per l’inverno che da lì poco avrebbe irrigidito anche gli alberi. Tom, ipnotizzato, seguì il convoglio di imenotteri  fino all’imbocco del formicaio. Qui, deciso ad accompagnare il battaglione nel suo rifugio inviolabile, si sporse sull’orlo del nido. Fu allora che qualcosa di straordinario accadde. Il suolo prese a tremare violentemente, la ghiaia del vialetto si scosse e le nuvole si ammassarono una sopra l’altra finendo per coprire il sole appena nato. Poi la terra ruggì e dalle sue profondità si sollevò una forza antichissima che irrompendo in superficie avvolse Tom e lo trascinò nell’ignoto del sottosuolo.

La Farfallina e il Lumacone
di Silvia Donatiello
Nel mondo degli insetti gli incontri tra le specie avvengono solo quando uno fa da sostegno all’altro nella catena alimentare. Nei racconti invece tutti è possibile.
In un prato viveva un lumacone, pigro e poco incline a uscire dal suo guscio dove, seppur stretto, viveva. Ogni tanto tirava fuori le antenne, si guardava intorno e sospirava pensando alle cose che avrebbe voluto fare se solo avesse avuto il coraggio di disfarsi del guscio.
Tra un ragionamento e l’altro passavano gli anni, circondato dagli stessi sguardi persi nella monotonia degli stessi fili d’erba. Un bel giorno volò di lì, per caso, una farfallina blu. Veniva da molto lontano e proprio durante uno dei suoi viaggi decise di fare una sosta in quel prato. La farfallina stava per riposare all’ombra di un lungo filo d’erba, quando sentì addosso due antenne che la fissavano intensamente. Alzò lo sguardo e vide il lumacone. Lo trovò goffo e interessante allo stesso tempo, lui le chiese chi era, e lei prese a narrargli la sua vita fatta di racconti raminghi e avventure divertenti. Così entrambi iniziarono a condividere le esperienze di uno e i sogni dell’altro, fino a quando la farfallina concluse un giorno che, se non iniziavano a metterli in pratica quei sogni, si sarebbero presto esauriti. Il lumacone spaventato, le rispose che lui non aveva le sue ali e la leggerezza del suo volo, ma questa, non si scompose e lo rassicurò perché, anche se delicate, le sue ali erano sufficientemente forti da sopportarne il peso se solo avesse lasciato dietro di sé il guscio. Forse era troppo per il lumacone: quando qualcosa lo spaventava, poteva sempre rifugiarsi in esso; ma nascondersi gli impediva realizzare i suoi sogni. Un doloroso dilemma. Che fare? La farfallina, svolazzò intorno al lumacone, lo accarezzò con le sue vellutate ali e gli disse: “Non ti preoccupare, se non ti stacchi tu dal guscio, lo farà lui per te, perché ormai non gli appartieni; quando questo succederà: scrivimi”. E si allontanò nel cielo blu.

Ingenua Mosca
di Annalisa D'Alessandro
La Musca Domestica rifletteva sul suo triste destino di Dittero volgarmente conosciuto come mosca.
Per dieci volte quella mattina era riuscita a scappare alla casalinga impazzita che la rincorreva con una racchetta fulmina-insetti.
<<Cosa le avrò fatto, perché vuole uccidermi?>> era la domanda che la tormentava ma non sapeva darsi una risposta.
La casa di campagna nelle ore centrali della giornata era silenziosa, i signori dormivano e i bambini erano nelle loro stanze, così la mosca andava a riposarsi su un mobile di legno che si trovava vicino al portone d'ingresso, prima di ricominciare a svolazzare senza meta.
Ad un tratto sentì un rumore dietro il mobile.
“Psss, psss, mosca!”.
Incuriosito, l'insetto si avvicinò al bordo dal quale proveniva il richiamo e vide un ragno che era impegnato a tessere la sua tela.
“Cosa fai lì al buio?” chiese la mosca sbirciando l'insetto.
“Niente, me ne sto tranquillo per fatti miei intrecciando questi fili anche se mi annoio, non vedo mai nessuno” rispose il ragno.
“Come ti chiami?”
“Mi chiamo Tegenaria Domestica, volgarmente conosciuto come ragno”.
La mosca in quel momento provò pena per l'insetto che viveva nascosto in quell'angolo e pensò: <<Povero Tegenaria, anche lui è una vittima dei luoghi comuni? Anche lui viene rincorso da una casalinga con una racchetta fulmina-insetti ed è destinato a nascondersi? Come siamo simili anche se così diversi, la mia sofferenza è anche la sua sofferenza!>>
“Amico ragno, se ti senti così solo scendo io laggiù a farti compagnia!” e detto ciò, si lasciò cadere dietro il mobile.
Peccato che andò a finire dritta sulla tela e le sue ali e le zampette vi rimasero impigliate.
“Tegenaria, sono bloccata nella rete! Aiutami!” urlò la mosca ma il ragnetto si era allontanato dalla tela e ridacchiando era andato a prendere dei condimenti: si prospettava un bel banchetto.
<<Oh povera me quanto sono stata stupida! Era meglio rimanere stecchita su quella racchetta!>>.

Capovolta
di Augusto Rasori
“Ah! Ah! Ah! Guarda come scappa!”
“Ora la chiudo in un angolo!”
La piccola creatura si agita terrorizzata ma ciò non sembra impietosire i due aguzzini. Attorno le pareti incombono ostili. Minacciose.
“Guarda i suoi occhi!”
“Circondiamola!”
La piccola creatura accenna un movimento ma uno dei suoi persecutori ne intuisce le intenzioni e le chiude lo spazio.
“Ah! Troppo lenta!”
Dietro avverte il respiro dell’altro tormentatore. Il suo cuore minuto pulsa come sul punto di esplodere.
Una percossa la lascia intontita e sorpresa. Come ha fatto a finire in un tale incubo? Come si è ritrovata in un guaio del genere? Stava tornando dalla sua famiglia e all’improvviso è iniziata quella follia.
“Che botta!” dice uno.
“L’ho presa in pieno!” ribatte l’altro soddisfatto.
I secondi trascorrono come fossero ore. La piccola creatura intontita cerca con occhi forsennati una direzione in cui provare a fuggire.
Eccola! Una fessura! Forse se è abbastanza rapida riuscirà a trovare la salvezza.
Ma prima che possa muoversi un urto sul fianco la fa rotolare a terra. E, quel che è peggio, è caduta sulla schiena. E’ inerme.
La piccola creatura agita le zampe freneticamente per difendersi ma i suoi assalitori si avvicinano e ormai sono su di lei…
“Che state facendo?”
I due si fermano impietriti. La piccola creatura non riesce a vedere chi ha parlato.
“Non stavamo facendo niente” risponde uno.
“Ma non vedete” continua la voce “che quella poveretta è terrorizzata? Forza, rimettetela in piedi!”
I due aiutano la piccola creatura a voltarsi e prima che sia raddrizzata è già sparita in una crepa della parete.
“Dovreste vergognarvi! Tormentare così una piccola pulce”.
“Ma gli uomini con noi lo fanno sempre!” cerca di difendersi uno dei due aggressori.
“Sì, sempre” gli fa eco l’altro.
“Silenzio!” ordina imperiosa la voce. “Noi non commettiamo crudeltà. Non siamo mica uomini noi. E ora filate tutti e due a casa! Chiaro?”
“Sì, mamma” mormorano incamminandosi lesti i due mortificati piccoli scarafaggi.

Il libro della soffita
di Lorenzo Massacesi
Al piano di sotto, per la prima volta in anni, si udì una voce.
Una voce! Una voce umana? Umana? Non era K’krth o Gthvfr? Ma da così lontano non avrebbe mai potuto sentirli, quindi sì, doveva essere di un altro tipo di animale. Un ratto, forse.
-No- disse K’krth masticando qualcosa con nervosismo. -Più grande, più forte. Non-ratto. Non-uccello. Cane?
-Non-cane- rispose uno dei sedici pronipoti di Gthvfr. -Non-cane. Non-uccello. Non-serpente.
-Umano- concluse Gthvfr con aria di solennità e timore. I suoi figli gli risposero in un coro di ammirazione e non dissimularono la preoccupazione.
-Hai ragione- disse lui, anche se non capiva come Gthvfr l’avesse capito, e si domandò se l’avrebbe mai scoperto. Quello che i due capofamiglia definivano il “sentire-oltre”. Si chiese se l’avrebbe mai sentito o se sarebbe rimasto un ridicolo, goffo ammasso di carne, con poche appendici, niente difese, se non la mole e la portata superiore di quei miseri arti. Niente a che vedere, comunque, con le fauci di Jqkniqkt, un raro esempio di predatore solitario, pacato, che mangiava sempre da solo e non apprezzava le comunicazioni imperiose di Gthvfr per le distribuzioni del cibo.
-C’è nessuno?- disse nuovamente la voce, e stavolta, visto che era l’unico a conoscere anche solo di sfuggita quella forma di comunicazione, lui annuì, silenzioso, anche se si domandava come qualcuno potesse essere tanto stupido da chiedere se ci fosse l’assenza di qualcuno o anche solo per parlare in territorio sconosciuto. Proprio il contrario della famiglia di Qshkjaj, che abitava da ventimila generazioni dietro l’intonaco e che mandava pochi emissari, cauti e ansiosi, di tanto in tanto, solo per vedere se venissero trovate altre riserve di carta per le nuove famiglie. I Qshkjaj erano numerosissimi ma se ne vedevano pochi, si diceva. Temevano troppo i discendenti di Gthvfr, da quando si erano impossessati della dispensa coi libri. K’krth diceva che un’altra famiglia, un matriarcato di grosse femmine pelose e pesanti, avesse invece preso il controllo di una miniera immensa di carta al piano di sotto, e che avesse ridotto i Qshkjaj alla fame.
Intanto la voce si era fatta più vicina. Lui non rispose. Sentiva che prima o poi i tonfi sulle scale si sarebbero fatti sentire.
E, proprio in quel momento, i passi dell’uomo risuonarono sulle scale.
Ce l’aveva fatta! L’aveva sentito! Era sentire le cose prima che gli arrivassero! Quindi quello era il “sentire-oltre”! Lo comunicò ai Gthvfr, che gli risposero raggianti. Lui continuò, chiedendo loro come si sarebbero dovuti comportare con l’umano. Fu allora che Jqkniqkt scese, maestoso, dalle travi del soffitto. I suoi arti erano lunghi, sibillini, come quelli di un grande artista, di un predatore assassino che non spendeva mai troppe energie per la fretta.
-Tu non sentire-oltre- disse con aria di sdegnata disapprovazione, nel suo freddo tono da artigiano assassino. -Tu no.
-Tu no- approvarono allora i Gthvfr. -No oltre. Noi oltre, tu no oltre.
Era perplesso. Ma come? L’aveva sentito prima che accadesse! Era o no il “sentire-oltre”?
-Ehi, c’è qualcosa lì sopra?- disse la voce. Una seconda, differente, rispose nello stesso alieno linguaggio. Il primo uomo continuò a salire. Lui era preoccupatissimo.
-Noi già oltre- disse l’anziano capostipite dei Gthvfr. -Noi fuggiti, noi morti, noi esuli. Tu non-oltre, tu non morto. Io poter non-sentire-oltre, forse io vivo, come te?
-No- gli rispose secco Jqkniqkt, sgambettando con lunghe falcate verso la finestra. -Io via.
Così, senza dir nulla, se ne andò, lasciando il suo castello pieno di trappole nascosto nell’ombra fra le travi. Molti avrebbero trovato una manna in quel castello per molti giorni.
-No- disse K’krth sconsolato. -Ora non più.
A quel punto si aprì la porta che conduceva al piano di sotto.
-Buon dio- disse l’umano. Troppo grande, troppo robusto, e anche troppo alieno, con quelle troppo poche zampe, tozzo e con la carne al vento o coperta da materiali morti. -Vieni subito! Ho trovato qualcuno!
I suoi occhi si dilatarono in terrore alla vista dell’uomo. Gli gridò di allontanarsi dal territorio delle famiglie, ma già un secondo uomo era comparso dietro di lui, anche quello col volto corrucciato in una smorfia.
-Diamine- disse scrutando fra le ombre. -Ma vive qui? Ma come fa?
-Forse è meglio se chiami qualcuno- disse il primo. -La polizia, ad esempio.
-Aspetta, sta dicendo qualcosa?- aggiunse il primo, perplesso davanti alle sue minacce sibilanti e sputacchianti.
-Farfuglia- disse il primo. -Cristo santo, non stare lì impalato, prendilo e portalo sotto, o dagli qualcosa da mangiare. Non lo vedi com’è magro?
Lui non era magro. Era massiccio, grosso e privo di grazia. Gliel’avevano detto mille volte i Kbqkt, passando nella foresta dei suoi capelli la notte per sbeffeggiarlo, una volta che K’krth si era reso conto che non era un dio o un mostro immane, ma uno sperduto ignorante.
K’krth, che proprio in quel momento si era mosso in avanti.
-Cristo santo, uccidilo!- esclamò il primo dei due uomini, ma si era già proiettato in avanti con quella zampa tozza, senza dita, nera e con la base dura e leggermente elastica e sagomata. Per K’krth non c’era stato scampo.
Lui non perse tempo a piangerlo. Seppur monco, avanzò con le uniche quattro zampe che aveva e saltò loro addosso, per difendere quelle antiche culture, quelle conoscenze che K’krth aveva preservato. I Riti delle Carni, il Mantra di ringraziamento delle costruzioni, le antiche tecniche per la trappola ad imbuto e la Canzone del Padre, da innalzare all’oscurità durante i Riti di Accoppiamento, riti che peraltro lui non aveva mai compreso. I nove nomi del Padre, uno per ogni zampa e uno per il suo occhio mancante. Lui aveva imparato tutto, perché anche se era goffo, sterile, storpio e troppo grande, aveva dato tutto sé stesso alla vita delle famiglie, spesso anche letteralmente, con pezzetti di pelle.
L’uomo non se ne curò, lo afferrò e lo tenne sotto braccio, vanificando il suo sforzo. E pensare che era sempre stato il più forte…
-Vacca miseria, guarda quanti- esclamò il secondo. -Forse avremo bisogno di più insetticida del previsto, qui c’è una fauna che non scherza. Guarda sul pavimento quante schifezze…
-Porto il ragazzo sotto, gli do una pulita e chiamo la polizia- disse il primo trascinandolo con sé verso i territori sconosciuti. -Poi torno con l’insetticida. Tu intanto occupati della biblioteca al piano di sotto, ok?
-Chiaro- disse l’altro. -Chissà quanti pesciolini d’argento ci sono… dimmi, Doug, ti ho mai chiesto perché facciamo ancora questo lavoro?
-Perché pagano bene- disse Doug, che ora e per sempre sarebbe stato per il ragazzo il nome del male assoluto, il nuovo nemico naturale della sua famiglia. -E perché a me personalmente è sempre piaciuto schiacciare gli insetti.
-In teoria i ragni sono artropodi- disse l’altro con aria saccente.
-Artropodi, quello che ti pare- disse Doug. -Sono tutti insetti, né più, né meno.
Doug lo trascinò via, mentre sibilava nella lingua che ormai era la sua, quella degli artropodi, delle numerose famiglie dai mille nomi, le cui voci si univano in un canto che solo lui poteva sentire, rivolto a dèi dai nomi fatti di chitina e tela, divinità ctonie dalla numerologia aliena.
-Cazzo, si dimena- disse Doug. -Sembra un bambino selvaggio… guarda come ha i capelli lunghi! Sembra quel bambino uscito da quel libro, quello che leggi sempre a tua figlia… come si chiama? Il Libro della Foresta?
-Della Giungla- disse l’altro uomo, sbuffando. -Ma ce l’hai una cultura?
-Certo che sì- disse il primo. -Ho l’abbonamento alla tv satellitare, per chi mi hai preso?

Un plauso a tutti gli scrittori che, da tutta Italia, con entusiasmo e originalità ci hanno dato la possibilità di entrare nei loro mondi fatti di lettere, siamo davvero soddisfatti di come è andata questa iniziativa e presto ne proporremo della altre. Promesso.


La libreria K vi ringrazia. 


Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...