Quando mi sono ritrovato tra le mani Eden, l'opera prima di Alessandro Cortese (Messina, 1980), confesso di aver provato un leggero scetticismo. Mi sono chiesto dunque cosa potesse avere da dire sull'Eden che non fosse stato già detto, scritto, letto e raffigurato.
La forma estetica del romanzo si presenta intanto con una buona grafica di copertina, la carta è di qualità. Il testo all'interno ha la peculiarità (che piaccia o meno) di essere tutto scritto in caratteri cubitali. Ci sono degli intermezzi di un dialogo tra due personaggi misteriosi tra un capitolo e l'altro.
Beh, nel giro delle prime trenta pagine, lo scetticismo iniziale è stato scalzato da una rara voracità nella lettura che mi ha consentito nel giro di un paio d'ore di chiudere la storia soddisfatto e, devo dirlo, arricchito.
Eden non è un romanzo sull'Eden. Eden è un pretesto, un progetto.
Questa storia ci mostra il bene e il male in una prospettiva rinnovata, alta. Direi aulica. Lessico di buon livello, unito a un intreccio degno di un romanzo da brivido.
Eden cerca di rispondere alla domanda delle domande: cos'è la libertà e come la si raggiunge, a quale prezzo e con quali sacrifici?
La storia ci racconta delle cerchie angeliche, delle vicende di Lucifero, di una congiura, dell'arcangelo Michele in tutta la sua ira e il suo fulgore. Ci antropomorfizza l'eccelso e il sublime che risiedono nell'immaginario religioso della tradizione cristiana occidentale.
Diamine, ma se si chiama Eden dove sono Adamo ed Eva?
Ci sono, ci sono.
Il guaio è che non immaginereste mai come sono stati resi.
Chiudendo il testo, ho sorriso compiaciuto. E se avessi avuto Alessandro Cortese nel negozio gli avrei fatto dei sentiti complimenti.
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